Piadine, amore e montagna: a Schigno, da Rosa e Fernando



Inauguro oggi #travelstories, una rubrica tutta dedicata ai viaggi e alle storie, che mi porterà a scoprire quei luoghi d'Italia (spero prossimamente anche del mondo) attraverso le storie dei suoi abitanti. Un progetto a cui ho pensato da tanto, e che avrei voluto realizzare nella mia città natale, ma che poi per ragioni lavorative ho dovuto posticipare. 

Ora eccomi qui, con un paio di storie raccolte e pronte per essere pubblicate ogni domenica. Da nord a sud, senza un percorso preciso, senza un itinerario studiato, perché le cose belle sono quelle che succedono così, quasi per caso. Come tutte le cose belle della mia vita.


La storia di oggi è tutta a base di piadine, amore e montagna, i tre elementi che caratterizzano Schigno, una piccola frazione di appena 25 famiglie (fonti del comune!) del comune di Casteldelci (RN), da cui dista 1,37 km.




Una comunità con meno di 100 abitanti, 72 (pare) per la precisione, dove tutti si conoscono e mi verrebbe da pensare che non puoi fare niente senza che gli altri lo sappiano. Una chiesa, il cimitero, il bar/bottega e tutt'attorno le montagne. Paesaggi bellissimi che piacciono anche a chi come me preferisce il rumore delle onde al sibilio del vento tra le cime innevate, che si rivelano essere un momento di pausa e relax dallo stress frenetico della quotidianità.



Prima cosa: un caffè. Il bar è chiuso, con il cartello: "Sono dal dentista". Altre due signore sono lì con me, volevano fare la spesa, e chiedono a un ragazzo lì di fronte, che scopro essere il nipote del gestore. Mi rendo conto della genuinità di posti del genere, in cui si percepisce un forte senso di appartenenza alla comunità. Ne aprofitto anch'io, presentandomi e spiegando brevemente il mio progetto. Alessandro- così si chiama il tipo carino che assomiglia a Scamarcio- mi dice che di bar lì c'è solo quello, che suo zio è via e che se voglio il caffè me lo offre a casa sua, che è di fronte alla bottega. Ecco l'accoglienza romagnola, che non ha quasi nulla a che vedere con quella piemontese! 

Mi spiega che raramente si vedono turisti in zona, perché "ci devi andare per forza a Schigno, non ci finisci per caso, anche perché la rete del cellulare non prende". Guardo il mio smartphone: nessuna copertura, nè della Wind, nè della Vodafone. Ottimo, direi. Scopro così prende solo la Tim, e che se devo chiamare, devo andare vicino al cimitero, andando su sulla destra. Un punto strategico non solo per agganciare la cella, ma anche per godersi il vento forte, sedendosi sul muretto, o anche per strada, a tarda notte, quando non passa nessuna macchina. Scopro così che la frazione è popolata per lo più da persone anziane, e che corre il rischio di scomparire nel giro di (pochi) anni. Un motivo in più per visitarla, allora.

Tra l'altro Alessandro è il figlio della proprietaria del B&B in cui ho prenotato su Airbnb. Com'è che non mi sorprende affatto la cosa? Dopo aver posato il mio borsone nella stanza al pian terreno, mi mostra la casa- enorme!- e senza che io glielo chieda, mi racconta la storia dietro quel nome, Ca' Ferro nel verde. Parla, parla, parla, e la storia è talmente interessante che mi limito a annuire e a scrivere quanto dice. La storia di casa sua, dei suoi nonni. Ne rimango affascinata, e intanto nel cielo compare un arcobaleno.


Un'ora dopo, entrando in cucina, mi immagino lì Rosa, che prepara le tagliatelle, i tortelli e i cannelloni a mano. Senza dubbio è stanca, ma non importa, continua a impastare, per preparare il pranzo al marito che è fuori dalle 5. Ãˆ  partito prima dell'alba, con il suo furgone, per andare a fare la spesa a Rimini. Avrà giusto il tempo di un piatto caldo, magari con un bicchiere di vino, e poi subito ad aprire il bar, per i primi clienti che dopo aver mangiato passano lì per un caffè corretto. Due urla come al solito, ovviamente in dialetto, e poi Rosa può tirare un sospiro fino alla sera, quando Fernando, dopo cena, si piazza davanti alla TV per la partita di calcio. Voglio pensare che tifasse Juve, e anzi, lo chiedo al nipote. Basta nominare Juve che Alessandro inizia le imprecazioni, e nonostante non abbia quei baffoni e quello sguardo severo del nonno, un po' lo ricorda. Forse anche per quello il suo soprannome, non a caso, è Ando, da Fernando.

Un collegamento a cui penso mentre mi siedo su una poltrona in quello che un tempo era il bar, e che ora è la sala da pranzo. Sul camino, le foto di famiglia fanno da fil rouge alla nostra conversazione che dura ore. Confessioni, confidenze, storie di nonni e nipoti, ricordi di momenti che resteranno impressi tra le mura di quella casa così vuota senza Rosa e Fernando. Anzi, Fernando e Rosa, visto che il carattere forte della coppia era lui, un uomo tutto d'un pezzo che faceva valere la sua autorità anche con i nipoti del nord che d'estate e a Natale scendevano a trovarlo. E non perdeva occasione per rimproverarli, mentre correvano su e giù per le scale di quella che mi sembra uno scrigno gigante che contiene l'essenza di una famiglia che da Fernando a Gabriele, il pronipote, sente il richiamo delle radici, della terra rocciosa di montagna. E ogni Natale si ritrovano tutti lì, con un pizzico di nostalgia per quelle calze di lana che Rosa cuciva per i nipoti, mai troppo cresciuti per rinunciare ai vizi e alle coccole di una nonna.

Mentre mi sposto in quella che era la cucina e che ora è una delle camere da letto, mi sembra che Fernando, dalla foto, mi segua con lo sguardo, come se stesse controllando il suo piccolo regno. Come dargli torto: mia nonna si comportava allo stesso modo ogni volta che aveva ospiti. Mi viene da sorridere, e mi convinco che anche lui si lasci andare a un abbozzo di gentilezza, anche se verso di me, una di quelle che Rosa avrebbe definito "una-donnaccia-di-città". Una di quelle da cui tenersi ben lontano, perché venendo dal caos delle grandi città, mette in secondo piano le donzellette romagnole, tutta casa-famiglia-e-piadine. Se fosse lì con noi, le prepararei una bagna caoda DOC, confidandole che anch'io ho origini di pianura e campagna: dei miei nonni, due erano contadini, una cuoca e uno prima sarto e poi bidello. 

E gliel'avrei raccontato tra lacrime di orgoglio, le stesse lacrime di Ando parlando di lei e Fernando. Perché l'amore dei nonni, c'è poco da fare, è unico, e dura anche dopo la morte, per quanto dolorosa possa essere la loro mancanza. Non ci lasceranno mai, e non li dimenticheremo mai, anzi, a volte ci prende l'amarezza di non aver avuto figli mentre loro erano ancora in vita. E siamo felici quando, tornando nei posti dove siamo cresciuti e di cui custodiamo i ricordi più belli, non ci chiamino con il nostro nome, ma come "il nipote/la nipote di". Sì, siamo noi, che quei nonni ce li siamo goduti al massimo, fino a quando ci è stato possibile. 

Sta diventando buio, il pomeriggio è volato senza che me ne accorgessi, e ho un'ultima cosa da chiedere a Alessandro. Voglio andare a trovare Rosa e Fernando. E quando entriamo in quel piccolo cimitero- grande, considerato che nella frazione vivono circa 70 persone- me li trovo subito davanti al cancello, sulla destra.

Un saluto a lui, gran lavoratore da quando aveva 9 anni, ma è con lei che parlo. E quello che ci diciamo, resta una cosa tra donne...



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