Cantando sotto la pioggia a Mostar

Un'altra giornata si è conclusa, ed è stata come sempre molto pesante. La nota positiva della giornata è che, finalmente, dopo due settimane da quando sono qui, ha piovuto. Da quanto mi ha detto il mio amico e collega Ivan, che offre tour gratuiti in città- il Mostar Free Walking Tour- erano 40 giorni che non pioveva. Vento e fresco per la prima volta dopo 15 giorni sono quasi un lusso, visti i 42-45° medi. Senza considerare che, domenica scorsa, la temperatura ha toccato i 50°. I 17° in meno di oggi me li sono goduti tutti, ammirando dalla terrazza la collina con la croce- che indica la parte croata della città- tra lampi, tuoni e fiumi di pioggia. 


La luce ovviamente è saltata un paio di volte, per cui per qualche ora tutta la zona era completamente al buio, visto il cielo plumbeo che diventava sempre più grigiastro, fino ad essere quasi nero. I supermercati sono rimasti chiusi per ore, perché le porte automatiche non si potevano aprire, e quei poveretti che erano dentro si sono trovati bloccati lì, dovendo quindi chiamare al lavoro per avvisare che avrebbero fatto tardi. 


Senza wifi ho dovuto utilizzare gran parte dei 300MB compresi nell'attivazione della SIM, e mi son trovata a dover parlare a circa una 30ina di persone nella sala dell'ostello, cercando di offrire loro un tour della città virtuale, attraverso le foto. Impressionante come molti australiani conoscano la guerra dei Balcani, mentre gli europei- soprattutto gli svedesi e gli irlandesi- conoscano quasi niente. L'ennesima prova che il sistema scolastico europeo continua a far acqua (giusto per rimanere in tema di pioggia) da tutte le parti. Tra un caffè e una fetta di anguria (poco succosa) le chiacchiere si sono fatte interessanti con Glidas, un ragazzo francese che sta lavorando ad un progetto culturale sul turismo che è molto simile al mio, Tour de la Méditerranée. L'unica differenza è che, mentre il mio è scritto, il suo è sviluppato sotto forma di video.



Raccontare quello che noi reporter stiamo vedendo e scoprendo, stando a contatto con la gente locale, non è semplice, specie per gli spaccati di vita degli ex profughi, il cui sogno più grande era quello di riuscire a tornare, prima o poi, a casa. E ci sono riusciti, anche se ci sono voluti anni. Il sogno di una vita che hanno potuto vedere trasformato in realtà.


Sto iniziando a capire il bosniaco, e sono molto contenta, perché la maggior parte degli adulti e degli anziani non parlano inglese, e comunicare con loro era abbastanza difficile all'inizio. Poi pian piano sono riuscita a farmi capire, con il mio bosniaco maccheronico, anche al supermercato all'angolo, la cui commessa ogni volta mi fa lo sconto di 1KM (0,50€), oltre che sorridermi e ringraziarmi. Perché qui funziona così: più sei gentile con la gente, più la gente lo è con te. Poco importa se ci si capisce a parole o a gesti.

Anche per questo ho legato quasi subito con i miei colleghi qui, tre ragazzi di 23 anni "figli della guerra", nati perché i genitori, durante quel clima di orrore, volevano qualcosa di buono e puro: un bambino. Arman, Medina e Selma avevano solo pochi mesi quando Mostar è stata semi distrutta, e ricordano poco, ma sono cresciuti con la consapevolezza di quello che era successo e con l'insegnamento di non odiare i croati, dall'altra parte della città. Hanno quindi amici cattolici e fanno shopping nel centro commerciale "al di là del ponte", il Mepas Mall, ma quando qualcuno chiede loro se la convivenza con i croati funziona, nei loro occhi si percepisce un pizzico di malinconia.


Con loro, i miei colleghi, condividiamo tutto, dal pranzo alle sigarette, dalla birra alla mancia lasciata dai clienti. Comprese le commissioni per i tour dell'Erzegovina- che tra l'altro è una figata! Non esiste la concezione del "mio", ma del "nostro", neanche con la donna delle pulizie, o con il vicino, un simpatico vecchietto con cui, più che parlare, mi limito a sorrisi e saluti con la mano. Non parla neanche  bosniaco, ma un dialetto stretto, e il suo cenno con la mano al mattino, o quando esce per buttare la spazzatura valgono più delle parole non dette. 

Laku noc i slatke snove!

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